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La menzogna nella vita quotidiana.

di Sara Pezzuolo

Molti psicologi dei più diversi orientamenti hanno trattato della menzogna, tema le cui implicazioni rendono complesso ogni approccio culturale, storico, sociale, scientifico.

I diversi orientamenti teorici partono dagli studi sull’identità, dalla presentazione di sé 1, dalla linguistica e dalla psicologia sociale. Da queste prospettive il sé che è presentato agli altri nella vita di tutti i giorni è caratteristicamente una “confezione”. Da un lato c’è quindi la voglia di farsi scoprire per quello che realmente una persona è, dall’altro, la volontà di apparire migliore per avere maggiore successo, fa sì che la presentazione di sé divenga menzognera. Gli scopi, quindi, che motivano una presentazione non menzognera sono anche gli stessi che motivano una presentazione menzognera.

Quando la realtà è favorevole (ad esempio, quando le persone vogliono presentare se stesse come generose e caritatevoli e realmente hanno una lunga storia di contributi caritatevoli e atti benevoli), questi scopi possono essere raggiunti senza fare uso della menzogna, mentre circostanze meno favorevoli inducono di più all’uso della menzogna.

Nella stampa quotidiana, così come nella letteratura etica, il mentire è spesso descritto come un atto egoista. Le persone mentono per ottenere promozioni, lavori etc…, quindi in misura maggiore le menzogne servono più a beneficiare se stessi che gli altri e vengono raccontate in misura minore con uno scopo economico-materiale e in misura maggiore per un “guadagno psicologico”, per ottenere stima, affetto e rispetto.

Le persone riportano in misura maggiore menzogne circa i loro sentimenti, i loro piani e le loro conoscenze. Quando gli individui mentono circa i loro sentimenti, essi vorrebbero fingere di sentirsi migliori di quanto realmente siano.

Nel 1996 Deborah A. Kasshy e Bella M. DePaulo 2 condussero una ricerca proprio per vedere quali menzogne venivano raccontate in misura maggiore e da chi, utilizzando la metodologia del diario giornaliero. I soggetti, un gruppo di studenti universitari e un gruppo che rappresentava più in generale la comunità, dovevano registrare in un diario tutte le interazioni che avevano nel corso di una settimana e annotare in quale delle diverse interazioni avevano mentito e i motivi che sottostavano alla menzogna. Oltre ad analizzare le differenti tipologie di menzogne che portarono ad una classificazione di quest’ultime, venivano presi in considerazione anche gli stati d’animo dei soggetti prima, durante e dopo aver detto la menzogna.

Le menzogne venivano distinte in base al contenuto, in base all’orientamento (menzogne centrate su di sé o menzogne rivolte agli altri), in base al tipo e in base al referente.

Le menzogne orientate su di sé erano definite come menzogne con l’obiettivo di accrescere o proteggere psicologicamente il bugiardo o i suoi interessi.

Le menzogne orientate sugli altri erano definite come menzogne che venivano raccontate per proteggere o esaltare le altre persone psicologicamente o per avvantaggiare o proteggere l’interesse degli altri. Le menzogne orientate sugli altri, trattate nella ricerca, erano quelle che toglievano gli altri dall’imbarazzo o dalla perdita di stima, quelle che facevano apparire meglio di ciò che essi erano realmente o che proteggevano la riservatezza delle persone.

I ricercatori conclusero che, la personalità potrebbe non solo predire la quantità di menzogne raccontate ma anche il tipo di menzogna raccontata.

L’ipotesi era che le persone più manipolative, in particolare quelle preoccupate maggiormente della propria presentazione e quelle che hanno una bassa stima di sé, possano raccontare più menzogne centrate su se stessi, mentre individui altamente socializzati e persone con alta qualità di relazioni personali potrebbero raccontare poche menzogne centrate su di sé.

Fu ipotizzato, inoltre, che le persone manipolative avrebbero descritto se stesse come menzogneri di successo, e che avrebbero riportato che essi mentivano più spesso rispetto alle altre persone, al contrario delle persone altamente socializzate che riportavano di mentire di meno. Quindi le persone manipolative, specialmente preoccupate della presentazione di sé, e persone altamente socievoli tendono a mentire più spesso degli altri e a realizzare ciò che esse vogliono.

Le persone che sono interessate all’impressione che esse hanno sulle altre persone sono a conoscenza che esse mentono più delle altre. Mentre, le persone manipolative, credono che la menzogna sia un modo accettabile per ottenere quello che vogliono, le persone preoccupate di come si presentano agli altri, vedono nella menzogna un mezzo facile per presentarsi come in realtà vorrebbero essere.

Poiché mentire fa parte dei processi d’interazione sociale, esso, potrebbe essere particolarmente importante per le persone altamente socializzate. Le persone socievoli potrebbero mentire più spesso perché il mentire diventa pratico e abituale. Quando le persone socievoli sono spinte a controllare il loro comportamento mentre raccontano menzogne, esse restano sorprese di quanto spesso mentono.

In conclusione, le persone che raccontano più menzogne delle altre, sono persone che si preoccupano in misura maggiore rispetto agli altri, dell’impressione che creano nella vita sociale. I menzogneri sono anche più manipolatori. In qualche modo, poi, i menzogneri sembrano essere abili partecipanti nella vita sociale. Le persone che mentono più spesso delle altre hanno meno gratificazioni con persone dello stesso sesso e sono anche meno responsabili.

Da questa ricerca gli autori ricavarono anche un’altra informazione. Le interazioni nelle quali non venivano raccontate menzogne venivano descritte come più intime e piacevoli, e anche la modalità d’interazione era una determinante per la presenza della menzogna; nelle interazioni faccia a faccia era presente una maggiore riluttanza a raccontare menzogne rispetto a quando le interazioni erano di tipo più formale ad esempio, nelle interazioni telefoniche.

Le persone riportavano più spesso menzogne circa i loro sentimenti, le loro azioni, i loro piani e le loro conoscenze.

Per quanto riguarda i livelli di stress i partecipanti alla ricerca riferivano di non percepire le loro menzogne come serie e che i livelli di stress riportati prima, durante e dopo aver raccontato la menzogna non erano alti. I livelli di stress, comunque analizzati dai ricercatori, variavano in maniera significativa tra il prima, il durante e il dopo.

Erano più elevati durante il racconto della menzogna e nel momento immediatamente successivo, e in seguito alla menzogna provavano un disagio maggiore rispetto al prima.

Un’altra variabile fondamentale era il sesso del destinatario della menzogna, in particolare ciò trovava maggiori conferme in riferimento alle donne. Esse, infatti, provavano maggiori livelli di stress durante e dopo la menzogna, se dovevano mentire ad altre donne.

Esse descrivevano le loro menzogne come protettive del destinatario e di stesse e affermavano che entrambi, loro e i destinatari delle loro menzogne, avrebbero potuto provare qualcosa di peggiore se la verità fosse stata raccontata al posto della menzogna.

Circa l’80% delle menzogne raccontate dai soggetti della ricerca erano menzogne su se stessi, essendo per gli autori la menzogna un’interazione sociale, essi definirono questo tipo di menzogna come un regolatore psichico di emozioni, come un mezzo per perseguire benefici psichici più che materiali. Le menzogne avevano lo scopo di farli apparire meglio di quanto loro stessi credevano di essere, li proteggevano dall’imbarazzo, dalla disapprovazione e dal conflitto. Queste motivazioni possono, però, essere anche alla base di menzogne raccontate agli altri, infatti, essi ponendosi a livello dello stato d’animo del destinatario vi “adattavano” il proprio stato d’animo.

Ma cosa succede a livello mentale quando una persona mente?

Il menzognero arriva a credere che la menzogna è la verità?

Secondo Polage e Cristi (2000), se definiamo il mentire come una forma d’immaginazione nella quale il menzognero crea una realtà alternativa, forse il menzognero stesso potrebbe arrivare a credere alla sua stessa menzogna.

In un esperimento condotto dagli autori sopra citati, veniva chiesto ai partecipanti di riuscire a convincere lo sperimentatore che le loro storie erano vere. La memoria dei partecipanti era tenuta sotto controllo tramite una stima delle confidenze degli eventi prima e dopo la situazione sperimentale.

La maggior parte dei partecipanti ricordava la menzogna e giudicava i diversi eventi in maniera significativamente più negativa rispetto a come li giudicava prima della menzogna. Soprattutto, il 10% dei partecipanti divenne convinto che la menzogna era la verità e negò di aver mentito.

Menzogna e giurisprudenza.

Che posto occupa la menzogna all’interno della giurisprudenza italiana?

“La persona che ha conoscenza dei fatti che devono essere accertati nel procedimento penale, è denominata “testimone” quando depone davanti al giudice (art. 194); è denominata “persona che può riferire circostanze utili ai fini dell’indagine”quando è esaminato dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria (artt. 362 e 351). Tale soggetto è ammonito circa l’obbligo di “rispondere secondo verità” alle domande che gli sono rivolte (art. 198). Se il testimone di fronte al giudice dice il falso o tace ciò che sa, commette falsa testimonianza (art. 372 c.p.); se il “possibile testimone” di fronte al pubblico ministero tiene la medesima condotta, commette il delitto di “ false informazioni” (art. 371 -bis c.p.). Di fronte alla polizia giudiziaria il possibile testimone che dica il falso non è, per ciò soltanto punibile; ma può commettere il delitto di favoreggiamento, se con la sua condotta “aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità” (art. 378 c.p.)” 3.

Il testimone ha l’obbligo di verità secondo l’articolo 497/2 c.p.p. , l’unico che ha la possibilità di mentire è, infatti, solo l’imputato:“Prima che l’esame abbia inizio, il presidente avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità. Salvo che si tratti di persone minore di anni quattordici, il presidente avverte altresì il testimone delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”.

Qua, però nasce il paradosso. Infatti, dalle ricerche sulla memoria, sulla percezione etc deduciamo che ciò che verrà riferito dal testimone non sarà dunque il vero ma… sarà ciò che lui di quel fatto ha percepito, ciò che ha compreso, “…l’evento originario tende ad essere distorto che spesso non è possibile verificare la corrispondenza tra ciò che il testimone dice e ciò che è realmente accaduto… nel processo la conoscenza del passato avviene quasi unicamente attraverso ciò che viene riferito: il processo non si svolge sui fatti accaduti ma su ciò che viene detto dei fatti accaduti” 4.

Dal momento che la testimonianza deve essere precisa e dettagliata, quest’ultimo, potrà anche se involontariamente, “correggere” la deposizione al fine di renderla più chiara ed idonea possibile.

Una critica rivolta alla valutazione della menzogna, nell’ambito della testimonianza, è che tutti gli indicatori, verbali e non verbali, presi in considerazione in ambito sperimentale concernevano soggetti la cui “volontà a mentire”, raramente era fortemente motivata mentre in ambito giurisprudenziale chi mente, sia imputato che non, ad esempio il testimone falso, mentono perché hanno uno scopo per il quale “vale la pena” mentire, in breve la “motivazione a mentire” diventa preponderante.

Uno dei luogo comuni in merito alla testimonianza veriteria concerne la sua esposizione. Infatti, luogo comune, è che con più una testimonianza viene esposta in maniera sicura e precisa più questa risulta essere attendibile.

In realtà senza dilungarci sulla letteratura presenta in materia di comunicazione menzognera verbale e non, tale assunto risulta scarsamente attendibile.

L’art. 188 c.p.p. e similmente l’art. 64/2 che concerne l’imputato, forniscono indicazioni sulle modalità che vengono ritenute non idonee all’assunzione delle informazioni: “non possono essere utilizzati neppure con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità d ricordare o valutare i fatti” ed ancora art. 189 c.p.p. “quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona”.

Di conseguenza possiamo comprendere il perché del veto posto dalla giurisprudenza all’utilizzo dei mezzi di prova quali il poligrafo e l’ipnosi. Il primo, infatti, si ritiene che non assicuri l’accertamento dei fatti, il secondo, invece, che intervenga sulla capacità di autodeterminazione del soggetto.

Di contro, negli Stati Uniti, l’utilizzo del poligrafo ha avuto un notevole successo, tanto che Ronald Reagan, ne autorizzò l’impiego in tutti gli uffici federali per vagliare l’onestà dei funzionari statali. Ancora oggi esso è ampiamente utilizzato negli Stati Uniti, tanto che si stima che circa il 25% delle società americane, si serva del poligrafo per la selezione del personale (Likken, 1984).

Menzogna e poligrafo.

Il funzionamento del poligrafo si basa, essenzialmente, sulla registrazione di quattro funzioni base dell’organismo: battito cardiaco, pressione sanguigna, sudorazione della pelle, respirazione.

I segnali ricevuti dallo strumento vengono trasformati in impulsi elettrici che vengono registrati da pennini che lasciano un tracciato su una striscia di carta in movimento.

Se la macchina registra un aumento in una o più delle funzioni fisiologhe, ciò significa che la persona è eccitata o ansiosa. Infatti il poligrafo non scopre le menzogne, ma solo segni di emozione. Esso rileva i cambiamenti fisiologici causati dalle emozioni che sperimenta il soggetto in conseguenza alle domande che gli vengono poste.

Il poligrafista, in base a queste modificazioni, conclude che la persona o sta mentendo od è fortemente imbarazzata dalla domanda.

Per far fronte a questa ambiguità vengono alternate domande significative con domande irrilevanti. Se, infatti, il poligrafo segnala una risposta neurovegetativa maggiore alla domanda cruciale rispetto alle altre, allora si sospetta che il soggetto, alla domanda cruciale abbia mentito. Il processo per scoprire la menzogna, quindi, è di natura puramente inferenziale.

Le tecniche d’interrogatorio utilizzate sono essenzialmente due:

– Control Question Test (test della domanda di controllo)

– Guilty Knowledge Technique (test della conoscenza colpevole).

Con la prima, usata soprattutto nelle indagini di polizia, al sospettato si pongono domande rilevanti, e cioè direttamente connesse con il fatto da indagare e domande di controllo.

Gran parte della controversie sull’uso di questa tecnica nascono dal disaccordo su diverse questioni, ad esempio su ciò che effettivamente queste domande possano controllare, sulla possibilità stessa degli errori da parte della macchina, sulla probabilità di alti livelli di ansia del soggetto, non esclusivamente perché colpevole, ma anche solo perché particolarmente sensibile a quel particolare argomento.

I sostenitori dell’utilizzo di questa macchina affermano che la possibilità di stabilire chi dice il vero e che dice il falso può raggiungere il 95%. Alcune ricerche smentiscono, però, questi dati. Secondo l’OTA (Office Technology Assessmente)5, che è un organismo degli Stati Uniti per la valutazione delle tecnologie, la macchina della verità è precisa al 74,6% nello scoprire i colpevoli e solo al 53,3% per scagionare un innocente dalle accuse.

Inoltre, ingannare la macchina della verità non è particolarmente difficile. Al menzognero basta, ad esempio, contrarre, per 5-7 secondi, i muscoli dello sfintere anale per provocare un istantaneo aumento della pressione sanguigna. Attuando questo metodo alle domande irrilevanti, che servono come parametro per la valutazione delle domande significative, tutta la misurazione viene alterata.

Esistono inoltre anche altre situazioni che possono ingannare il poligrafo quali:

– ricorrere a droghe che abbassano il livello delle risposte emotive;

– imparare a distrarsi per attenuare le risposte fisiologiche a domande rilevanti;

– aumentare il livello fisiologico delle risposte rilevanti (ad esempio mordendosi la lingua), per fare in modo che non appaiono diverse da quelle rilevanti;

Inoltre, sono da prendere in considerazione anche gli individui che hanno esperienza di “training autogeno” o di tecniche di biofeed-back 6, che, se particolarmente addestrati nei metodi di autodistensione, sono in grado di modificare, tra l’altro, l’attività cardiaca e polmonare, riuscendo a mantenere la calma anche di fronte a domande particolarmente coinvolgenti.

L’uso del poligrafo, comunque, negli Stati Uniti a fini investigativi è molto diffuso, secondo stime fornite da Ekman (1989) 7, il poligrafo arriva a fare circa un milione di esami all’anno. Esso è utilizzato da aziende, per la selezione del personale, dalla polizia per le indagini sulla criminalità.

Menzogna e test psicologici.

Un altro strumento utilizzato per scoprire la menzogna è l’applicazione di particolari test.

I test di personalità, prevalentemente diretti all’esplorazione dei vari aspetti della personalità, includono al loro interno la categoria dei reattivi mentali che, in ambito psichiatrico-forense, vengono utilizzati per l’indagine sulla simulazione.

Molti test prevedono, infatti, che il soggetto possa mentire in relazione alla desiderabilità sociale 8, in questi casi il soggetto tende a voler apparire o come immagina che lo psicologo si aspetti da lui, o come la gente ritiene si debba essere.

Lo psicologo utilizza una serie di “segni comportamentali” che fanno sorgere il sospetto della simulazione e fa uso di reattivi mentali.

Ad esempio, nel Rorschach 9 i segni più significativi di simulazione sono: resistenze e allungamento dei tempi di latenza, abbondanza di rifiuti, basso numero di risposte, alta percentuale di risposte banali, confabulazioni, comportamento evasivo, incongruenza nel comportamento, iperproduttività talvolta bizzarra e molto imprecisa.

Altri indicatori importanti si trovano, all’interno del MMPI-2: il Dissimulation Index di Gough e la scala L. L’indice di Gough si basa sulla differenza tra il valore della scala F e quello della scala K; esso indica se è in atto un tentativo di simulazione. Per ciò che concerne la scala L va fatta una precisazione.

Tale scala, infatti, valuta la probabilità che il soggetto abbia risposto al test riferendosi ad un’immagine di sé idealizzata, ma non indica una tendenza generale del soggetto a mentire agli altri nella vita quotidiana10.

Il test della Bender prevede una dimensione esclusivamente riservata alla simulazione11.

Altri strumenti possono essere il Self Monitoring Scale (SMS), che misura la capacità del soggetto di osservare sia il proprio che l’altrui comportamento. Un buon livello di queste capacità potrebbe facilitare sia il successo nel dire che nello scoprire menzogne.

Il Social Skill Inventory (Riggio, 1986) misura sei competenze comunicative di base. Le abilità che interessano la condotta menzognera sono quelle inerenti al controllo sulla comunicazione.

Il test Profile of Non-verbal Sensitivity (PONS) misura il grado di sensibilità alla comunicazione non verbale riferita a vari canali e alla loro combinazione (faccia, corpo, aspetto generale) con e senza il tono della voce. Le persone che ottengono punteggi elevati a questo test si rivelano buoni scopritori di bugie.

 

Menzogna e professione.

Arrivati a questo punto è legittimo chiedersi se esistono delle persone che per la loro professione sono più abili di altri ad individuare la menzogna.

Sono tanti gli studiosi che si chiedono se e in che misura, i risultati della ricerca psicologica in tema di credibilità, possano essere anche utilizzati nei contesti giudiziari dove i giurati si avvalgono delle loro facoltà intuitive per cercare nel comportamento del testimone indizi di sincerità o falsità delle sue dichiarazioni. Nel 1991 Ekman e O’Sullivan (1991) 13 hanno confrontato differenti gruppi per un totale di 50 persone. I gruppi erano composti da membri del Servizio Segreto degli Stati Uniti della divisione dei Servizi Forensi; dei Servizi Federali degli Stati Uniti che utilizzavano il poligrafo; da giudici; da appartenenti alla polizia; da psichiatri; c’era poi un gruppo misto di uomini d’affari, giuristi, psicologi, infermieri, casalinghe, studenti. A tutti questi veniva mostrato un videotape di dieci minuti riguardante dieci persone, tutte ragazze, che parlavano delle sensazioni che provavano in relazione alla visione di un certo film. Tutte esprimevano un sentimento di apprezzamento e gioia, ma, mentre cinque avevano visto un film che giustificava questo sentimento, altre cinque, alle quali veniva chiesto di mentire, avevano visto un film con scene cruente. Le ragazze erano state molto motivate a mentire in quanto veniva detto loro che il fatto di riuscire a mentire ed essere credute avrebbe avuto un’importante funzione nella loro carriera. Alla fine dell’esperimento, i soggetti più abili risultarono gli appartenenti al Servizio Segreto che riconobbero la menzogna nel 64,12% dei casi, seguiti dagli esperti dei Servizi Federali addetti al poligrafo che ebbero successo nel 55,6% dei casi.

Gli osservatori accurati tenevano conto non solo degli aspetti verbali ma anche di quelli non verbali, soffermandosi in particolare sulle prime microespressioni. Tra loro gli osservatori accurati e non, differivano solo quando descrivono la base delle loro decisioni su una specifica persona che hanno appena visto.

Essendo, allora, gli appartenenti al Servizio Segreto, per via della loro professione, più abili nello scoprire le menzogne, si può dedurre che questa abilità possa essere appresa.

Due autori, DeTurk e Miller 14 sono giunti a risultati promettenti. Secondo i loro studi sembra che la gente sia più abile nel dire menzogne piuttosto che nello scoprirle. Ad avviso dei ricercatori, il fatto di mentire attiva il sistema nervoso simpatico con la conseguenza che, quando si mente, si accorcia la lunghezza delle risposte, si fanno pause più lunghe, si risponde con molti “allora, eh, uh, sai, cioè ecc.”, si fanno pause più lunghe quando si propone una domanda, si ricorre maggiormente al linguaggio delle mani.

La ricerca, inoltre, evidenzia che lo specifico addestramento nei confronti del comportamento del menzognero può aumentare in modo considerevole la capacità di mascherarlo.

In conclusione, quindi, le ricerche indicano che se da un lato è possibile individuare, in presenza di condizioni di osservazione ottimali, gli indicatori di verità/menzogna riferiti ad un preciso interlocutore, non è possibile ipotizzare l’esistenza di un insieme di indicatori utilizzabili su scala allargata a diversi soggetti. Tuttavia l’addestramento migliora la capacità dell’osservatore di valutare correttamente la veridicità di messaggi anche quando vengono inviati dai soggetti meglio “attrezzati” alla menzogna come, ad esempio, i soggetti definiti “camaleonti sociali” che mentono perché gli è chiesto di comportarsi in maniera diversa da come sono realmente e la loro adattabilità li facilita in questo compito. 

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1 Goffman, “The presentation of Self in everyday Life”, 1959

2 DePaulo Bella M., Kirkendol Susan E., Kashy Deborah A., Epstein Jennifer A., “Lying in everyday life”, “Journal of Personality and Social Psychology”, 1996, Vol. 70, No.5, 979-995

3 Tonini P., “Manuale di Procedura Penale” Quinta Edizione, Giuffrè Editore, 2003

4 Gulotta G., “Elementi di Psicologia Giuridica e di Diritto Psicologico”, Giuffrè Editore, 2002

5 http://www.gpo.gov/ota

6 http://psychoterapy.com/bio.html

7 Ekman P., “I volti della menzogna: gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, negli affari, nella politica e nei tribunali”, Giunti Editore, 1989

8 Gulotta G., “Trattato della menzogna e dell’inganno”, Giuffrè Editore, 1996

9 http://www.rorschach.com

10 Hathaway S.R. e McKinley J.C., “MMPI-2 Manuale”, Organizzazioni Speciali, 2005

11 Ferracuti F., “Psichiatria Forense Generale e Penale”, Giuffrè Editore, 1990

12 Riggio R.E. (1986) “Assessment of basic social skills”, “Journal of Personality and Social Psychology”, 51 (3), 649-660; “Verbal and non verbal cues as mediators of deception”, “Journal of Nonverbal behaviour” Volume 11, Number 31, 1987, 126-145.

13 Ekman P., O’Sullivan M., “Who catch a liar?”, “American Psichologist”, vol. 46, n. 9, 1991, pag. 913-920

14 DeTurk, Miller, “Effect of feedback on the overestimated capacity to detect lies and the underestimated ability to tell lies”, “Applied Cognitive Psicology”, Vol. 17 Issue 2003, pages 349-363,

 

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