La Corte di Cassazione, con sentenza n. 39339/2017 depositata il 22.08.2017, conferma la condanna del Tribunale di Bari e della Corte di Appello di Bari per esercizio abusivo della professione di psicologo nei confronti di omissis per aver promosso e diretto associazioni aventi come reati-fine truffe e esercizi abusivi della professione di psicologo anche falsamente qualificandosi come psicologo.
Nel caso specifico, rifacendosi all’art. 1 della legge 56 del 18 febbraio 1989 e all’art. 3 della legge n. 170 del 11 luglio 2003 la Corte ritiene che costituisce esercizio abusivo della professione: “(…) l’attività di pranoterapeuta che, prima di imporre le mani, intrattenga approfonditi colloqui su aspetti intimi della vita dei pazienti, per diagnosticare problematiche psicologiche eventualmente all’origine dei disturbi da loro lamentati (…) o di chi tratta pazienti affetti da disturbi psicologici (ansia, fobie, depressioni) con colloquio e anamnesi per collegare cause psicologiche e disturbi fisici (…) o con consulenze per problemi caratteriali e relazionali, sostenute da percorsi terapeutici, sedute, colloqui e pratiche ipnotiche o con la rievocazione delle esperienze passate (…). Vale, quindi, una nozione di attività psicoterapeutica teleologicamente orientata, che prescinde dalle modalità (che possono essere scientificamente collaudate o meno) con cui l’attività si esplica e richiede che essa abbia come presupposto la diagnosi e come obiettivo la cura di disturbi psichici. Questa interpretazione è in armonia con la ratio dell’articolo 348 c.p., che mira a evitare che sia messa a repentaglio la salute psichica del paziente: non è necessario che il soggetto non qualificato si avvalga di una delle metodologie proprie della professione psicoterapeutica, ma è sufficiente che la sua azione incida sulla sfera psichica del paziente con lo scopo di indurne una modificazione che potrebbe risultare dannosa”.