“… La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l’anima vostra. Se il timone e la vela si spezzano, non potete fare altro che, sbandati andare alla deriva, o arrestarvi nel mezzo del mare. Poiché se la ragione domina da sola, è una forza che imprigiona, e la passione è una fiamma che, incustodita, brucia fino ala sua distruzione”[1]
Questo estratto dal “Il Profeta” di Gibram mi sembrava il più adatto a introdurre l’argomento in questione, cioè lo stalking. In questi ultimi anni se ne sente sempre parlare di più ma di cosa si tratti di preciso forse per molti non è ancora chiaro; il termine stalking nonostante a volte si trovi affiancato a quello di mobbing indica un fenomeno diverso. Difatti, nonostante entrambe le manifestazioni prevedano la presenza di un persecutore e di una vittima perseguitata, il mobbing si contestualizza all’interno di un setting lavorativo mentre lo stalking non può esulare dall’invadere la sfera privata del soggetto.
La definizione in italiano del fenomeno riconducibile allo stalking è “sindrome del molestatore assillante”, al cui fondamento c’è un estremo bisogno di controllo e gestione della vittima da parte dello stalker che spesso non ha nessun correlato psicopatologico.
Ege distingue tre tipi di stalking:
Stalking emotivo: è il tipo di stalking più frequente, generalmente è associato alla rottura di una relazione affettiva tra due persone all’interno della quale una delle due non riesce a rassegnarsi alla perdita dell’altro;
Stalking delle celebrità: consiste nel perseguitare personaggi famosi o di pubblico interesse;
Stalking occupazionale: è il tipo di persecuzione che inizia sul posto di lavoro ma finisce poi per invadere la vita privata della vittima. La motivazione è insita, quindi, nell’ambiente lavorativo dove si può registrare una situazione antecedente di mobbing.
Ma in che cosa consiste questa persecuzione? Gli atti che possono ricondursi ad un atteggiamento di stalking da parte di un soggetto nei confronti di un altro sono vari, devono essere ripetuti nel tempo, e vanno da quelli di natura meno invasiva alle minacce o, in casi rari, all’omicidio (ricordo per tutti il caso di Silvia Mantovani uccisa dall’ex fidanzato Aldo Cagna e Maria Antonietta Multai uccisa dall’ex fidanzato Luciano Delfino). Tra i comportamenti meno invasivi troviamo sms ripetuti, telefonate, lettere, e-mail, regali inaspettati, per arrivare poi ad un escalation di “invadenza” che porta a pedinamenti, appostamenti, contatti fisici, offese, minacce, intrusioni nell’ambiente domestico, danneggiamento di cose fino al compimento di veri e propri atti di violenza che possono sfociare in violenza fisica o addirittura violenza sessuale e, nei casi più gravi, all’omicidio.
Le vittime di tale attività sono generalmente donne, che non gradiscono e sono infastidite se non intimorite da queste attenzioni, spesso lasciate sole e impotenti di fronte a tali eventi, a volte esse non arrivano a denunciare poiché lo stalking viene realizzato da persone a cui sono state affettivamente legate e per scrupolo o per paura rimangono in silenzio, inermi, in attesa che prima o poi lo stalker rinunci alla sua attività, si annoi e trovi altro da fare, oppure perché, come a volte accade, non sanno a chi rivolgersi per avere conforto o aiuto.
Secondo recenti ricerche possiamo distinguere cinque tipologie di stalker:
Risentito: la convinzione di aver subito un torto o un danno porta lo stalker a cercare vendetta e nel fare ciò si sente giustificato a perseguire il suo scopo con ogni mezzo;
Respinto: di solito si tratta di un soggetto che ha avuto una relazione sentimentale con la vittima e non ne accetta la fine. Spesso si tratta di ex-mariti, compagni o fidanzati che non si rassegnano alla fine di una storia;
Corteggiatore incompetente: si tratta di soggetti che non hanno buone capacità relazionali e quindi non sapendosi come rapportare con l’altro sesso pongono in essere una serie di atteggiamenti opprimenti che possono perfino risultare aggressivi;
Bisognoso d’affetto: si tratta di individui che vanno alla disperata ricerca di una relazione sentimentale con il solo scopo di lenire un profondo sentimento di solitudine e quindi non riescono a vedere l’altro come persona ma solo come uno strumento per colmare il loro vuoto esistenziale;
Predatore: è il tipo di stalker più pericoloso. Il suo unico obiettivo è di avere rapporti sessuali con la vittima prescelta e per ottenere il suo scopo utilizza qualsiasi mezzo, dal pedinamento, all’attesa sotto casa; pone la vittima in una posizione di costante terrore e ciò gli fa provare un sentimento di estremo potere. La vittima è completamente gestita e succube delle sue mosse, ella non sa quando e come ma sa che lui c’è.
A livello giurisprudenziale la figura del reato di stalking non esiste ancora anche se esiste un disegno di legge attualmente che vuole introdurlo. Purtroppo al momento lo stalker viene perseguito per altre tipologie di reato presenti nel nostro ordinamento giuridico che vanno dalle molestie, alle minacce (art. 612 c.p.), alla violenza privata o sessuale (art. 610 c.p. e 609 bis) senza essere assemblato in un tutt’uno. In particolare si fa riferimento all’art. 660 c.p. quello che concerne le molestie “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito …”; il concetto di petulanza viene esplicato nelle sentenze della Cassazione dove tale atto viene definito come l’atteggiamento che invade e si intromette continuamente e inopportunamente nella sfera privata altrui interferendo nella sfera delle libertà personali.
Per inciso ricordo che in altri paesi d’Europa e in America la legislatura prevede già una normativa specifica per lo stalking.
La vita delle vittime possiamo dire che è come sconvolta. Essa può essere costretta a cambiare, suo malgrado, le proprie abitudini di vita per sottrarsi alle attenzioni dello stalker e ciò, come abbiamo anticipato sopra, indiscutibilmente ha effetti negativi nella sua vita privata e nella sua sfera esistenziale.
Senza volermi dilungare sulla nozione di danno esistenziale più volte e in maniera dettagliata definita dalla giurisprudenza basta, in questa sede, ricordare la sentenza della Cassazione 13546 che definisce il danno esistenziale come “ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno” che in sintesi può essere tradotta in un “non poter più fare o in un fare altrimenti del soggetto”, in scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero fatte se non si fosse verificato l’evento. Ciò è esattamente quello che accade alla vittima di stalking, costretta a cambiare le proprie abitudini di vita, ad esempio frequentare un certo locale, per la paura di incontrare lo stalker, farsi accompagnare fino al portone di casa per l’ansia che colui che la importuna possa aspettare il suo rientro etc.
Viene a mancare la libertà, quella libertà di essere, di esistere che si traduce in un costante sentimento di ansia e preoccupazione, vengono a mancare quei momenti di svago o di confidenza, familiare e non, che caratterizzano l’esistenza di qualsiasi soggetto. La vittima può essere costretta a cambiare numero di telefono, contatti, amicizie, addirittura può essere costretta a traslocare. Con il risarcimento del danno esistenziale certo che non si cancella l’accaduto, certo che non si dimentica cosa facevamo a scapito di cosa facciamo ora, ma si vuole almeno garantire ciò che è ben presente all’art. 2 della nostra Costituzione il quale tutela “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
[1] G. K. Gibran, “Il Profeta”, in www.digilander.libero.it
Bibliografia:
Ege H., “Oltre il mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro”, Franco Angeli Editore, Milano, 2005;
Fornari U., “Trattato di Psichiatria Forense”, Terza Edizione, UTET, Torino, 2004;
V. Volterra (a cura di), “Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica”, Masson Editore, Milano, 2006;
Sitografia:
www.professionisti24.ilsole24ore.com
www.stalking.it