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Il danno da lutto e risarcimento

di Sara Pezzuolo

La Corte Costituzionale con sentenza n. 372/94 ha ritenuto risarcibile il danno biologico psichico subito da un prossimo congiunto a seguito della morte di un familiare vittima di un fatto illecito altrui, allorquando “… il danno alla salute è qui il momento terminale di un processo originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, etc.), anziché esaurirsi in un patema d’animo o in uno stato d’angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente alle cui conseguenze, in termini di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va commisurato il risarcimento”. Detto in altri termini, tale affermazione ammette che, assieme al danno morale, consistente in un patema d’animo transeunte, in persone predisposte può insorgere un danno biologico di tipo psichico permanente o temporaneo derivante dalla perdita di un familiare in conseguenza di un fatto illecito. Difatti, in situazioni normali, l’esperienza del lutto per la perdita di una persona cara è solitamente accompagnata da un sentimento di tristezza e disperazione, apatia etc. ma tale processo rientra una volta che il lutto è stato elaborato.

La Cass. sez. III civ. del 17 gennaio 2008 n. 870 si interroga sul problema

iure hereditatis del danno biologico da morte e quando questo debba essere risarcito in correlazione al tempo di sopravvivenza della vittima del fatto illecito. Infatti, si distingue il caso in cui la morte segue immediatamente l’evento oppure tra l’evento, oggetto di lesioni, e la morte, intercorra un “apprezzabile” lasso di tempo in modo tale che si possa parlare di configurabilità del danno biologico iure hereditatis. Difatti, secondo la Giurisprudenza di massima, l’evento morte non influisce sul bene salute e quindi sulla sua tutela, ma, incide sul bene giuridico vita. Tale assunto non vale se, di contro, intercorre un lasso di tempo “apprezzabile”, tra l’evento lesivo e la conseguente morte, poiché il soggetto subisce una compromissione dell’integrità psico-fisica che si protrae fino alla morte, la quale è riconosciuta come danno biologico trasmissibile agli eredi (il lasso di tempo che permette il riconoscimento agli eredi del danno biologico iure hereditatis non viene stabilito in maniera precisa ma, in questa sentenza non può escludersi in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza di tre giorni).

 

Da qui si introduce il concetto del cosiddetto danno iure proprio, cioè il risarcimento del danno biologico agli stretti congiunti di una persona deceduta per effetto dell’illecita condotta altrui, previa, però, la prova di una lesione psico-fisica accertata sulla base di elementi oggettivi (vedi Cass. Civ. Sez. Lav. 22 luglio 2008, n. 20188- Cass. 19 febbraio 2007 n. 3758- Cass. 18 gennaio 2007, n. 1105- Cass. 11 gennaio 2006 n. 212).

La Cass. Sez. Unite Civili, con sentenza n. 26972/08 ha provato ad intervenire su questo punto affermando la liquidazione del danno morale nel caso in cui, nonostante sia passato un breve lasso do tempo tra l’evento e la morte, la persona sia rimasta lucida in attesa consapevole della fine. In tale situazione ciò che deve essere risarcito non è il danno biologico (non è detto che la sofferenza abbia il tempo di trasformasi in patologia…) ma il danno morale nella nuova accezione proposta dalla medesima sentenza. Su questo punto si potrebbero aprire questioni e dibattiti ad esempio chiedersi come si dovrebbe agire se la persona fosse priva di sensi, indotta in coma farmacologico etc. ma non è questa discussione l’obiettivo del seguente contributo.

Diventa fondamentale, nella clinica, secondo De Fazio et al.1, operare una prima distinzione tra danno da morte e danno da lutto. A seguito della morte di un congiunto o di un familiare i danni biologici sono essenzialmente i due sopraccitati ma, tra loro, devono essere nettamente distinti e differenziati. Difatti il danno da lutto consiste in una psicopatologia dell’elaborazione del lutto distinguendosi dal danno da morte che, invece, si esplica attraverso un’invalidità temporanea e, in casi eccezionali, in una invalidità permanente determinata dalla perdita dell’oggetto d’amore. Le due tipologie di danno si collocano su due livelli diversi. Mentre il secondo consiste in “… alterazioni permanenti sul piano psichico ed emozionale che conseguono ad effettive difficoltà del “lavoro del lutto”. Intendendo con ciò far riferimento alle difficoltà dell’elaborazione del lutto, o, talvolta, alla mancata elaborazione o del tutto alla negazione del lutto”2, il primo consiste in una reazione depressiva caratterizzata da sofferenze e dolori per una perdita che viene vissuta come angosciante che, solo se diventa clinicamente significativa, può sfociare in un danno da lutto. In sintesi, il danno biologico da morte, consiste in un danno psichico determinato dalla lesione del diritto alla salute psichica subito dagli stretti congiunti a seguito della morte di un familiare per un fatto illecito di terzi.

Ad oggi si intende per “danno da lutto” “… un pregiudizio subito dai prossimi congiunti per la perdita di un familiare a seguito del fatto illecito di un terzo, originariamente qualificato da un’autorevole dottrina come “danno alla serenità familiare”3, “… l’evento morte non determina solo la fine della vita della vittima, quindi, un “danno da perdita del diritto alla vita”, o comunemente definito “danno tanatologico”, ma causa, al contempo, l’estinzione di un rapporto familiare con i congiunti…”4.

L’esperienza del lutto è un’esperienza complessa che comporta sempre un cambiamento organizzativo nella vita della vittima secondaria, basta pensare ad un rapporto esistente che adesso non esiste più. Spesso a tale processo deve essere accompagnata una ridefinzione di ruoli, quali quello di moglie, figlio/a, genitore, in quanto le relazioni definite e realizzate all’interno di tale relazione vengono a mancare mettendo in crisi, in alcuni casi, la stessa identità di chi vive l’esperienza della perdita.

Corte e Buzzi5 sottolineano come sia fondamentale in sede di accertamento da danno biologico da lutto raccogliere i dati anamnestici, ed indagare accuratamente il rapporto tra la vittima primaria e la vittima secondaria, facendo attenzione alle modalità di “gestione dei rapporti sociali, familiari, affettivi e sessuali” e alle “autonome capacità di cura della propria persona e dei propri interessi”. Importante, quando ci si accinge a fare tale valutazione, è analizzare le modalità di elaborazione del lutto che hanno portato, un processo di natura fisiologica, ad essere interrotto o complicato, determinando, così, una reazione definibile come psicopatologica, cioè, una “reazione patologica da lutto”. Tale processo dipenderà si, dalla relazione esistente tra le due vittime ma anche, non di meno, dall’ “assetto personologico” del soggetto stesso e dalle sue modalità di elaborazione intra-psichica della perdita.

Brondolo e Marigliano propongono la seguente procedura di valutazione del danno:

  1. accurata indagine anamnestico-funzionale;

  2. valutazione dell’intensità psico-stressante dell’evento luttuoso;

  3. esame obiettivo psichico;

  4. uso di strumenti testistici standardizzati per formulare un inquadramento diagnostico verificabile, ripetibile e comunicabile, in modo tale da essere universalmente interpretabile in maniera consimile;

  5. parametrazione clinica dell’entità della minorazione psichica;

  6. analisi ponderata dei possibili elementi di connessione causale/concausale dei disturbi psichici/somatici con la preesistente struttura di base e/o con l’evento luttoso;

  7. acclaramento dell’inemendabilità/permanenza dei disturbi medesimi;

Per ciò che riguarda il primo punto è fondamentale quindi, analizzare “… le covalenze affettive che legavano il superstite al defunto la cui intensità (o lassità) costituisce evidentemente il primo elemento atto a suffragare, o, a mettere in dubbio la plausibilità di una reazione psico-patologica alla perdita relazionale”, “si tratta dunque di indagare le caratteristiche quali-quantitative dei rapporti psico-emotivi effettivamente intercorsi tra il defunto e il sedicente danneggiato dalla perdita del medesimo, aprendo un capitolo che potremmo definire “anamnesi relazionale”. In sintesi è necessario indagare “…in quella peculiare situazione di anomala interruzione del rapporto con il defunto e i meccanismi psicodinamici attraverso i quali tale interruzione, colpendo quell’individuo in quel determinato modo e momento, può averne destabilizzato l’assetto psico-comportamentale”6.

Nel caso dell’indagine psicodiagnostica è utile avvalersi di strumenti psicodiagnostici standardizzati tra cui l’M.M.P.I.-2. Esso è il test più usato e riconosciuto nell’ambito della letteratura scientifica anche perché attraverso l’analisi delle scale di simulazione è possibile effettuare un’indagine accurata e corretta.

Gli autori fanno, inoltre, riferimento a due tipi possibili di reazione da lutto patologico:

Quadri sintomalogici lievi: caratterizzati da occasionali deficit dell’attenzione e della concentrazione, labilità emotiva con transitori cedimenti depressivi dell’umore o transeunti crisi d’ansia; alterazioni del sonno; inappetenza; difficoltà relazionali e sociali, calo delle prestazioni lavorative etc.;

Quadri sintomatologici gravi: caratterizzati da ricordi pervasivi e ricorrenti della persona deceduta; perdita degli interessi e della cura della propria persona; anomalie della condotta in ambiente domestico; alterazioni comportamentali determinanti scollamento sociale; idee suicidarie; diminuzione del senso di realtà e delle capacità critiche etc.;

Altri autori (Parkes, Raphael et al.) si sono concentrati sui fattori che possono influenzare l’evoluzione di un lutto complicato. Tra questi, in linea generale, ritroviamo:

  • modalità della morte (una morte improvvisa ed inaspettata impedisce al familiare di abituarsi all’idea stessa della perdita);

  • intensità della relazione con il defunto;

  • precedenti esperienze di perdita di persone significative;

  • precedenti disturbi psichici, di solito a sfondo depressivo ed ansioso;

Per ciò che concerne la categoria nosografia proposta dal DSM-IV-TR nello specificare il “lutto” vi ritroviamo:

  • sentimenti di colpa riguardante cose diverse dalle azioni fatte o non fatte dal soggetto sopravissuto al momento della morte;

  • pensieri di morte diversi dal sentimento del soggetto sopravissuto, come, ad esempio, che sarebbe stato meglio se fosse morto o che avrebbe dovuto morire con la persona deceduta;

  • pensieri eccessivi e morbosi di inutilità;

  • marcato rallentamento psico-motorio;

  • prolungata e intensa compromissione del funzionamento;

  • esperienze allucinatorie diverse dal pensare di udire la voce o di vedere fuggevolmente l’immagine della persona deceduta.

Il lutto non è considerato una condizione di malattia ma viene raggruppata all’interno di “altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”. Spesso al lutto vengono ricollegate diagnosi quali quelle del disturbo dell’adattamento, disturbo depressivo maggiore o disturbo post traumatico da stress (nei casi più gravi), pertanto, dal momento che la letteratura medico-legale riconosce, come osservato in precedenza, un danno da lutto, ed il contesto di risarcimento prevede in qualche modo che la morte segua ad un evento traumatico, potremmo ipotizzare la necessità di considerare il lutto complicato come una variante del disturbo dell’adattamento cronico offrendogli un ruolo ed un riconoscimento particolare anche in sede di valutazione del danno.

Non sempre, però, nel caso di morte di un familiare per un fatto illecito di terzi, e quindi di danno da lutto, le dimensioni del danno possono essere ricomprese entro categorie nosografiche, ma accanto alla dimensione biologica può trovare spazio la cosiddetta dimensione esistenziale “… consistente nella modificazione peggiorativa della loro personalità e nel conseguente, forzoso sconvolgimento delle loro abitudini di vita e dei loro rapporti relazionali all’interno ed all’esterno del nucleo familiare colpito”7.

A seguito della Sent. Sez. Unite Civili, n. 26972/08, non si può più parlare di danno esistenziale ma, tale categoria di dano, è stata ricondotta al danno morale, all’interno del quale, solo per fini descrittivi, si parla di pregiudizi di tipo esistenziale.

Per ciò che concerne l’evento oggetto di causa, morte di un familiare, ci rifacciamo, oltre che all’art. 2, anche agli artt. 29 e 30 della Costituzione, che tutelano il riconoscimento dei “diritti della famiglia” intesi non solo come tutela della persona nell’ambito del suo nucleo, ma anche come modalità di realizzazione della vita dell’individuo all’interno della famiglia stessa in tutti i suoi multiformi aspetti (affetti, reciproca solidarietà, “inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzative della persona umana nell’ambito della famiglia” Cass. 30 ottobre 2007 n. 22884).

Nel caso del pregiudizio esistenziale da morte o da lutto siamo di fronte a “ripercussioni relazionali di segno negativo”; a diventare protagonista è quel ristrutturare la propria vita, quel non poter far più, quell’impedimento a svolgere le normali attività quotidiane etc. Tale modificazione peggiorativa può essere così descritta “… si obietivizza socialmente nella negativa incidenza nel suo modo di rapportarsi con gli altri, sia all’interno del nucleo familiare sia all’esterno del medesimo, nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione. E ciò in conseguenza della privazione (oltre che di quello materiale) del rapporto personale con lo stesso congiunto nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore), cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro”8, in tutto ciò, procede la Pace commentando la Sentenza “… l’elemento materiale della coabitazione, pur determinando la condivisone di una quotidianità, non può, di per sé, accrescere o affievolire quel sentimento, quella comunione spirituale che si fonda essenzialmente sullo stretto vincolo parentale…”.

Da qui possiamo facilmente desumere come l’attenzione ai pregiudizi di tipo esistenziale a fronte della perdita di una persona cara non possono e non debbono non essere presi in considerazione alla luce sia della nuova giurisprudenza sia di quella professionalità che come esperti non dobbiamo mai dimenticare. Inoltre sarebbe auspicabile ritrovare anche nel DSM-IV una maggiore attenzione a livello nosografico-clinico di una sintomatologia riconducibile al lutto, in quanto il lutto è “… tenere a bada l’insopportabile condizione di assenza e di solitudine che domina la vita presente. Il lutto è essenzialmente doloroso sentimento del presente, oppure struggente desiderio dell’assente”9.

Non che il riconoscimento del danno da lutto possa affievolire il dolore di un padre per un figlio, di una sorella per un fratello etc. ma semplicemente può almeno sembrare di avere fatto “giustizia” per un dolore che comunque non avrà mai un prezzo.

 

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1 De Fazio F., Maselli V., Donini W., Bergonzini C., “Il danno da lutto”, Jura Medica, 3, 2002, Anno XV.

2 Ibidem

3 Pace L., Il danno da lutto, Giust. Civ., 5, 1098, 2007.

4 Ibidem.

5 Corte F., Buzzi F., “Il danno biologico da lutto: metodologia psico-diagnostica medico-legale”. Riv. It. Med. Leg. XXII, 2000.

6 Ibidem

7 http://www.altalex.com/index.php?idnot=41928;

8 Cass. Sez. III civ. 19 gennaio 2007, n. 1203.

9 Bianchi A. (a cura di), “La valutazione neuropsicologica del danno psichico ed esistenziale”, CEDAM, Padova, 2005

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