Home ArticoliPenaleAbuso Conflitto genitoriale e idoneità a rendere testimonianza in caso di presunto abuso

Conflitto genitoriale e idoneità a rendere testimonianza in caso di presunto abuso

di Sara Pezzuolo

Con la sentenza della quarta sez. penale 04928/2023 si ribadisce l’importanza di un’attenta valutazione dei potenziali fattori di possibile inquinamento ed usura della fonte dichiarativa potenzialmente incidenti sulla genuinità delle dichiarazioni accusatorie di una minore.

Il caso in questione concerne l’accusa di presunto abuso sessuale in cui, l’imputato, era il padre della minore medesima in un contesto genitoriale conflittuale.

“(…) secondo la Corte capitolina, la coerenza della persona offesa dal reato nel tempo, il contegno processuale tenuto dalla dichiarante nel narrare i fatti e l’assenza di contraddizioni macroscopiche costituiscono elementi di valorizzazione dell’attendibilità, che non possono cedere a considerazioni generali formulate da esperti circa la potenzialità condizionatrice dell’assetto familiare sul narrato della minore (…) A sostegno dell’indifferenze della testimone per le interferenze induttive esterne o familiari ipoteticamente rivolte a modificare o ad aggravare il racconto della bambina nel corso del tempo in funzione anti-paterna, emergeva la netta valutazione della dott.ssa VC circa la capacità cognitiva ed espressiva della minore indicata come portatrice di una buona capacità di differenziare la realtà da ricostruzioni immaginativo-fantastiche ed immune da manifestazioni problematiche e da fattori di rischio tali da evidenziare un disagio psicopatologico”.

In buona sostanza, l’attendibilità della minore era ricavata dai seguenti elementi: a) la continuità narrativa evidenziata nei vari suoi racconti sull’abuso sessuale; b) l’idoneità a testimoniare all’epoca dei fatti accertata dalla dott.ssa VC; c)  l’assenza di ragionevoli motivi per incolpare falsamente un episodio disonorante il padre, con il quale aveva trascorso momenti lieti durante l’estate 2011; d) l’assenza di contraddizioni o di lacune rilevanti durante le deposizioni; e) la costanza nella narrazione della vicenda; f) la necessità di accreditarsi verso gli adulti increduli ai quali narrava il fatto.

Di contro secondo gli Ermellini: “(…) Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’attendibilità delle persone offese nei reati sessuali deve essere valutata in senso globale, tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo (Sez. 3, n. 21640/10); in particolare, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni (sez. 3, n. 29612/10).
Peraltro, come già ricordato nella sentenza rescindente, in tema di violenza sessuale sui minori, la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamente idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la veridica sull’incidenza di plurime audizioni della persona offesa in punto di usura della fonte dichiarativa (sez. 3, n.46592/17).
Va altresì ricordato che i protocolli prescritti dalla Carta di Noto si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologica del minore; pur non dettando regole di valutazione cogenti, rappresentano un importante strumenti di verifica dei dati probatori acquisiti al processo, ma la loro inosservanza non determina nullità né inutilizzabilità della prova (sez. 3, n. 15737/18).
Nella sentenza rescindente si ricordava che le dichiarazioni rese dal minore vanno analizzate considerando le modalità di narrazione delle vicende ai familiari, alla polizia giudiziaria, ai magistrati e agli altri soggetti, tenendo conto delle sollecitazioni, del numero di ripetizioni del racconto, delle modalità utilizzate per sollecitare il racconto, delle modalità delle narrazione dei fatti, del contenuto e delle caratteristiche delle prime dichiarazioni nonché delle loro modificazioni nelle eventuali reiterazioni sollecitate.
Si è altresì affermato che, in tema di reati sessuali, una volta accertata la capacità di comprendere e riferire i fatti della persona offesa minorenne, la sua deposizione deve essere inquadrata in un più ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l’intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilità (sez. 3 n. 8057/12); occorre accertare il complesso delle situazioni che attingono la sfera interiore del minore, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute (sez. 3 n. 39994/07).
I giudici di merito devono stabilire se il racconto dei fatti, quale emerge dalle dichiarazioni de relato rese dai genitori o da chi abbia ricevuto il primo disvelamento dell’abuso sessuale, corrisponde a quanto il minore ha realmente vissuto, unitamente all’eventuale conferma del racconto stesso in sede di incidente probatorio, tenuto conto degli elementi scaturenti dalle perizie psicologiche effettuate”.

E pertanto, “(…) Alla luce degli elementi di fatto riportati nelle sentenze di merito, emerge la sussistenza di molteplici fattori di rischio idonei ad inficiare l’attendibilità della minore, costituiti principalmente dal conflitto genitoriale, dalla situazione della minore quando si trovava dalla nonna, dagli incontri su turbative sessuali avvenute a scuola e dalle ripetizioni delle dichiarazioni accusatorie a vari interlocutori”.

You may also like