Home Sentenze La perizia psicologica sulla capacità a testimoniare di minori presunte vittime di abuso sessuale: la formazione della prova scientifica

La perizia psicologica sulla capacità a testimoniare di minori presunte vittime di abuso sessuale: la formazione della prova scientifica

di Sara Pezzuolo

E’ con molto piacere che condivido la sentenza di Cass. III sez penale n. 1752/2017 dal momento che il caso mi ha coinvolto, fin dall’inizio, in veste di consulente tecnico.

La Corte di Cassazione, partendo dal “diritto alla prova”, con riferimento particolare a quel tipo di prova che è scientifica, discorre sulla disattesa richiesta di perizia in merito alla idoneità a testimoniare dei due minori coinvolti nel procedimento.

Afferma la S.C. che, per stabilire la idoneità a rendere testimonianza di un minore, devono essere seguite protocolli convalidati dalla comunità scientifica le cui risultanze non possono essere sostituite dalle valutazioni psicologiche compiute dagli operatori che si occupano dei minori.

“(…) 3.3. Nella specie, i Giudici di appello hanno disatteso la richiesta di istruttoria tecnica, argomentando in ordine alla capacità a testimoniare della minore P.S. , attraverso il mero richiamo al “contributo conoscitivo offerto dalle psicologhe, psicoterapeute e neuropsichiatre escusse”, operanti all’interno della struttura “(omissis) ” ed al contenuto delle relative cartelle cliniche redatte dalla sezione di ricerca della predetta struttura nel periodo 2007-2010 con il solo rilievo che dalle stesse non emergevano “patologie che legittimino un diverso avviso” (pag. 14 e 15 della sentenza impugnata).
Tale motivazione appare, ictu oculi, carente rispetto all’articolata censura mossa dal ricorrente e meramente assertiva nella parte in cui desume l’assenza di profili di dubbio circa la capacità a testimoniare dalla mera constatazione che dalla documentazione sanitaria non emergevano patologie legittimanti un diverso avviso.
Alcuna esplicita argomentazione, poi, si rinviene in sentenza in merito alla capacità a testimoniare del teste minore P.C. , le cui dichiarazioni sono state valutate quale riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, se non nel mero ed apodittico richiamo “alla documentazione predetta” operato a pag 15 della sentenza impugnata.
È opportuno ricordare che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa-teste, al pari di quella relativa all’ attendibilità del teste in genere, si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa.
La valutazione del contenuto della dichiarazione del minore – parte offesa in materia di reati sessuali- in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto, e della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne.
Tale considerazione non può che estendersi anche alla valutazione delle dichiarazioni del minore che venga ascoltato quale teste e le cui dichiarazioni vengano valutate quale elemento di riscontro esterno.
Questa Corte, in particolare, ha precisato che, a tal fine, è proficuo l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall’attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna” (Sez. 3, 3.7.1997, n. 8962, Ruggeri, Rv 208447).
Si è, inoltre osservato che, “… la credibilità di un bambino deve essere esaminata in senso omnicomprensivo, valutando la posizione psicologica del dichiarante rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne, la sua attitudine a testimoniare – che coinvolge la capacità di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle -, le sue condizioni emozionali in riferimento alle relazioni con il mondo esterno ed alle dinamiche familiari, nonché i processi di rielaborazione cognitiva delle vicende vissute, processi tanto più limitati quanto più il bambino è in tenera età” (Sez. 3, 6.4.2004, n. 23278, Di Donna, n. 229421); “in tema di reati contro la libertà sessuale, la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne deve contenere un esame sia dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo esatto, ovvero di recepire le informazioni, raccordarle con altre e di esprimerle in una visione complessa, sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne che hanno regolato le sue relazioni con il mondo esterno” (Sez. 3, 10.4.2008, n. 20568, Gruden, m. 239879); “in tema di reati sessuali su minori in tenera età, è illegittimo, per violazione del principio della formazione della prova in contraddittorio, il rifiuto del giudice di disporre una perizia psicologica in contraddittorio, al fine di accertare l’aderenza alla realtà o meno della narrazione dei fatti, in dipendenza di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell’età o della struttura personologica del minore (Sez. 3, 23.2.2001, n. 26692, B., m. 250629; Sez.3,n.26692 del 23/02/2011, Rv.250629; Sez.3,n.40851 del 18/07/2012, Rv.253689); “non si può escludere, alla luce del caso concreto, che l’accertamento peritale possa essere disposto, alle medesime condizioni, anche nei confronti di minori non in tenera età al momento del disvelamento rispetto a fatti accaduti quando erano in tenera età, e che, qualora vi sia stata richiesta l’integrazione probatoria, il giudice del merito, nel caso di rigetto, debba dar conto, con motivazione rafforzata delle ragioni del diniego (Sez. 3, n.43245 del 2016, non massimata); “in caso di disvelamento dei fatti a molti anni di distanza, il giudice sarà tenuto ad una motivazione rafforzata che dia conto della inidoneità del distacco temporale ad incidere sull’attendibilità delle dichiarazioni, in particolare precisando se non siano intervenuti fattori esterni di “disturbo”, o se questi, ove intervenuti, non si siano comunque dimostrati in grado di alterare il corretto ricordo dei fatti (Sez 3, n. 30865 del 14/05/2015, M., Rv. 264248).
La tenera età delle persone offese, dunque, è circostanza che non può non portare a considerare, con particolare rilievo, la necessità di verificare con scrupolo le capacità di memorizzazione della stessa, allorquando rievochi i fatti occorsile.
È un dato indubitabile quello secondo cui, tanto più è ridotta l’età del minore tanto più può essere difficile l’operazione, da parte dello stesso, di ricostruzione dei fatti che la testimonianza comporta.
Non può, inoltre, non considerarsi che i bambini in tenera età presentano modalità relazionali orientate in senso imitativo ed adesivo e siano influenzabili da stimoli esterni potenzialmente suggestivi, con possibilità di non essere in grado di differenziare le proprie opinioni da quelle dell’interlocutore (Sez. 3, n. 24248 del 13/05/2010, 0.J., Rv. 247285).
È stato, invero anche affermato che “In tema di reati sessuali nei confronti di minori, “il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacché un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell’attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità” (Sez.3, n.38211 del 07/07/2011, Rv. 251381 Sez.3, n.25800 del 01/07/2015, Rv.267323).
È stato, però precisato che, ciò significa solo che quando la capacità a testimoniare del minore non sia stata accertata attraverso una perizia, o quando questa non sia stata svolta col rispetto di protocolli generalmente riconosciuti e condivisi dalle relative comunità scientifiche, allora la valutazione deve necessariamente fondarsi su altri oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro ed è onere del giudice dare di ciò adeguata e puntuale motivazione (Sez.3, n 1234 del 02/10/2012, dep.10/01/2013, Rv.254464).
Sul punto va rimarcato che la valutazione di tipo psicologico compiuta dagli operatori di una struttura socio-assistenziale non può integrare un sicuro elemento di prova o di riscontro in merito alla capacità a testimoniale del minore.
Questa Corte ha, infatti, affermato che la capacità a testimoniare del bambino in tenera età, vittima di abusi sessuali, deve essere accertata mediante perizia disposta dal giudice secondo i protocolli convalidati dalla comunità scientifica, le cui risultanze non possono essere sostituite dalle valutazioni psicologiche compiute informalmente dagli operatori in servizio presso la comunità in cui la vittima sia ospitata (Sez.3, n.1234 del 02/10/2012, dep.10/01/2013, rv. 254464; sez.3, n.1235 del 02/10/2012, dep. 10/01/2013, rv.254414, cit.).
3.5. Nella specie, quindi, non poteva integrare un sicuro elemento di prova o di riscontro in merito alla capacità a testimoniale dei minori “il contributo conoscitivo offerto dalle psicologhe, psicoterapeute e neuropsichiatre escusse”, valorizzato nella sentenza impugnata.
La Corte d’Appello, pertanto, avrebbe dovuto disporre per la valutazione della capacità a testimoniare dei minori una perizia in contraddittorio, la quale, nel caso di specie, poteva tenere conto anche della documentazione acquisita al processo al fine di verificare la correttezza delle valutazioni psicologiche informali acquisite agli atti, ovvero fornire adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di ulteriori e diversi, oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro.
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: il diritto alla prova contraria – garantito all’imputato dall’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., in conformità all’art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché dall’art. 111, comma 3, Cost e nel quale rientra anche il diritto alla prova scientifica – può essere, con adeguata motivazione, denegato dal giudice solo quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti; è illegittimo per violazione del principio della formazione della prova in contraddittorio il rifiuto del giudice di appello di disporre una perizia psicologica – oggetto di richiesta dall’imputato già in sede di incidente probatorio e reiterata in sede di formulazione delle istanze istruttorie in primo grado – al fine di accertare l’attitudine della persona offesa a testimoniare quando la condotta illecita offenda minori in tenera età e l’accertamento serva a valutare il rischio di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell’età o della struttura personologica del bambino, ove non venga espressa adeguata e puntuale motivazione della superfluità del mezzo di prova richiesto, alla luce di diversi, oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro; non assurgono a elementi oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro le valutazione di tipo psicologico compiute informalmente dagli operatori di una struttura socio-assistenziale, in cui il minore sia ospitato o che frequenti.

 

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