Home Sentenze L’attendibilità del testimone rientra nei compiti esclusivi del Giudice (Corte di Cass., sez. III pen. n. 28935 del 12.07.2016)

L’attendibilità del testimone rientra nei compiti esclusivi del Giudice (Corte di Cass., sez. III pen. n. 28935 del 12.07.2016)

di Sara Pezzuolo

Il giudice può fare ricorso ad una indagine tecnica che fornisca dati inerenti al grado di maturità psichica del teste minore vittima di abusi sessuali solo al fine di valutarne l’attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva che non sia compromessa dalla presenza di eventuali alterazioni psichiche, ma non anche per valutare ed accertare l’attendibilità delle risultanze della prova testimoniale, poiché tale operazione rientra nei compiti esclusivi del giudice

Suprema Corte di Cassazione, sez. III penale

sentenza 12 luglio 2016, n. 28932

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1378/2015 della Corte di appello di Palermo del 25 marzo 2015;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

sentito, altresì, per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), del foro di Palermo, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

In data 25 marzo 2015 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza con la quale il precedente 20 marzo 2014 il Tribunale di Palermo dichiarata la penale responsabilità di (OMISSIS) per i reati di cui all’articolo 609-bis c.p., articolo 609-ter c.p., n. 5, per avere più volte usato violenza sessuale nei confronti della figlia (OMISSIS), all’epoca di parte dei fatti in questione di età inferiore ad anni 10, nonché all’articolo 572 cod. pen., per avere tenuto comportamenti tali da integrare il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie (OMISSIS) e delle figlie (OMISSIS) ed (OMISSIS); nonché di cui all’articolo 582 cod. pen. per avere in una occasione cagionato lesioni personali alla moglie (OMISSIS), guaribili in giorni tre salvo complicazioni – lo aveva condannato alla pena di anni 13 di reclusione oltre alle sanzioni accessorie ed al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.

La Corte di appello, nel ricostruire i fatti, ha osservato che gli stessi emergevano sia dalle dichiarazioni rese dalla minore (OMISSIS), quanto agli episodi di violenza sessuale, sia, quanto alle altre imputazioni, oltre che da quanto detto dalla medesima (OMISSIS), da quanto riferito da altra parte offesa (OMISSIS), dichiarazioni che per la loro coerenza e precisione era indubbio che fossero genuine.

Ha interposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) deducendo il difetto di motivazione della sentenza la quale, pur riconosciuta l’esistenza nelle dichiarazioni accusatorie della minore (OMISSIS) di talune “sfilacciature o smagliature”, le ha tuttavia ritenute genuine ed idonee a fondare la sentenza di condanna, senza considerare quali sarebbero potuti essere i moventi che, data la situazione di elevata conflittualità familiare esistente fra la madre ed il padre della bambina, avrebbero potuto indurre quest’ultima a mentire accusando il padre, verso il quale ella nutriva sentimenti di rancore, anche in considerazione, della preferenza da lei percepita come tale del padre nei confronti della sorellina più piccola; sentimento questo acclarato dai test psicologici eseguiti sulla piccola (OMISSIS) e trascurati dai giudici del merito.

Con un secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta il fatto, da lui qualificato travisamento della prova, che la Corte non abbia valorizzato la sostanziale diversità della ricostruzione degli avvenimenti desumibile dalle dichiarazioni rese dalla bambina (OMISSIS) allorché  fu esaminata in data 16 gennaio 2012 ed allorché fu esaminata in data 6 gennaio 2014; nel primo caso, infatti, la stessa ebbe a lamentare tre soli episodi di violenza da parte del padre, per altro a distanza di alcuni anni l’uno dall’altro, nel secondo caso la stessa si riferì di una pluralità, sia pur generica, di comportamenti sporadicamente diffusi nel tempo nel predetto periodo.

Il terzo motivo di censura ha ad oggetto la pretesa illogicità della motivazione laddove ha ritenuto sussistere nei comportamenti attribuiti al (OMISSIS) gli estremi del reato di violenza sessuale, senza che della loro reale esistenza sia stata raggiunta una tranquillante prova, data la scarsa affidabilità delle dichiarazioni della minore.

Il quarto motivo ha ad oggetto la imputazione per maltrattamenti in famiglia, della quale, ad avviso del ricorrente, non sarebbe stata adeguatamente esaminata la sussistenza dell’elemento psicologico, posto che la Corte non si sarebbe data carico di valutare la situazione di aspro conflitto esistente fra i coniugi.

Riguardo alla imputazione di lesioni personali è lamentata la assenza di motivazione in ordine alla censura formulata in sede di gravame relativamente alla ascrivibilità al (OMISSIS) della lesioni lamentate dalla (OMISSIS).

E’, infine contestata la omessa o contraddittoria motivazione in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, solo parzialmente fondato, deve essere, pertanto, accolto nei limiti di quanto di ragione.

Osserva, infatti, la Corte che nella impugnata sentenza – la quale si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa (OMISSIS), figlia dell’imputato – il giudizio sulla attendibilità della medesima dichiarante risulta essere stato formulato dalla Corte territoriale essenzialmente sulla base dei rilievi espressi al riguardo dal consulente del Pm dott. (OMISSIS); per come, infatti, si legge testualmente nella sentenza della Corte di appello di Palermo, la Corte territoriale ha rilevato come il detto consulente avrebbe, in qualità di psichiatra infantile, riscontrato “non solo la piena capacità (…della persona offesa…) di rendere testimonianza ma anche la positiva credibilità della minore in quanto vittima di abusi sessuali” (fg. 5 della sentenza impugnata); analogo concetto viene poi ribadito dalla Corte palermitana, allorché precisa che le dichiarazioni della (OMISSIS) sono apparse tali da essere ritenute senza dubbio credibili come “lo afferma e lo chiarisce il dott. (OMISSIS)” (fg. 7 della sentenza impugnata), sino ad essere, per così dire, programmaticamente esplicitato allorché la Corte di appello osserva che “l’attendibilità della giovane persona offesa (…) contrariamente a quanto prospettato dal difensore, è pienamente dimostrata dalle considerazioni tecniche svolte dal consulente del Pm” (fg 9 della sentenza impugnata).

In tal modo operando, però, la Corte territoriale siciliana è venuta meno ad un suo specifico compito, posto che, diversamente da quanto paiono avere ritenuto i giudici del merito nella presente fattispecie, il giudice può fare ricorso ad una indagine tecnica che fornisca dati inerenti al grado di maturità psichica del teste minore vittima di abusi sessuali, solo al fine di valutarne l’attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva che non sia compromessa dalla presenza di eventuali alterazioni psichiche, ma non anche per valutare ed accertare l’attendibilità delle risultanze della prova testimoniale, poiché tale operazione rientra nei compiti esclusivi del giudice (Corte di cassazione, Sezione 4, 1 dicembre 2011, n. 44644; idem Sezione 3 penale, 24 giugno 2010, n. 24264).

D’altra parte nel caso di specie tanto più sarebbe stata opportuna la approfondita valutazione in ordine alla attendibilità oggettiva e soggettiva della persona offesa posto che, per un verso le accuse mosse all’imputato in ordine al reato di cui al capo A) della rubrica trovano la loro fonte dichiarativa esclusivamente in quanto riportato dalla persona offesa (nessun altro persona avendo direttamente apprezzato l’esistenza di detti abusi, sebbene gli stessi, secondo quanto riferito dalla persona offesa, si sarebbero verificati nella abitazione domestica alla presenza della madre e della sorella minore), la quale, peraltro, come anche rilevato dalla stessa Corte di appello, ha riferito i fatti addebitati al padre in termini non sempre intimamente coerenti.

Di ciò ne sia prova il fatto che la bambina, allorché fu ascoltata nel gennaio del 2012 nel corso dell’incidente probatorio sostenne che gli abusi compiuti dal padre erano iniziati allorché lei aveva circa 8 anni e, essendosi allora manifestatisi in soli due episodi, erano stati nuovamente realizzati in un’altra isolata occasione intervenuta nel gennaio del 2011, cioe’ circa tre anni dopo; la medesima, sentita in dibattimento nel corso del giudizio di primo grado in data 9 gennaio 2014, avrebbe invece riferito che gli episodi di violenza si erano manifestati, sia pur sporadicamente, per tutto il periodo dianzi ricordato.

E’, al proposito, evidente che, quanto meno in termini di gravità del fatto e conseguentemente di determinazione della irroganda pena, le due ricostruzioni della vicenda si presentano sotto profili sensibilmente diversi, posto che, almeno con riferimento alla entità dell’aggravamento di pena conseguente all’applicazione dell’articolo 81. cpv. cod. pen., cosa diversa è una violenza sessuale protrattasi, sia pure saltuariamente, per anni rispetto ad una verificatasi in sole tre circostanze considerevolmente distanziate nel tempo, per cui è necessario che le stesse siano chiarite nei termini i più limpidi possibili.

Ne’ può trascurarsi di considerare il fatto che la persona offesa ha palesato, in ragione della situazione di disagio familiare in cui lei viveva a causa dei dissapori esistenti fra i genitori ed in reazione alle condotte violente che il padre più volte aveva avuto nei confronti della madre, un sentimento di viva avversione verso quello (accentuato da una ritenuta preferenza che il padre avrebbe nutrito per la sorella minore della persona offesa), sentimento palesato, secondo quanto nella sentenza impugnata è riferito, con ripetuti inviti alla madre ad interrompere la convivenza familiare lasciando il padre.

Va, a tale proposito, ricordato come la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni testimoniali rese dal minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare considerata anche in relazione alla qualità e natura delle dinamiche familiari concretamente esistenti e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 27 luglio 2010, n. 29612), tanto che va ritenuta affetta da manifesta illogicità la sentenza nella quale la attendibilità del teste minore vittima di abusi non sia oggetto di una valutazione che tenga conto, oltre che della intrinseca coerenza di quanto riferito, anche degli altri fattori che possano influire sul giudizio di attendibilità (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 24 settembre 2013, n. 39405), fra i quali non va esclusa una situazione di rancore nei confronti del soggetto accusato.

Elementi tutti questi che la Corte palermitana non ha considerato, o quanto meno non ha adeguatamente considerato, affermando pianamente la piena attendibilità della persona offesa, illegittimamente conformando, in modo sostanzialmente acritico, il proprio giudizio ai rilievi svolti sul punto dal consulente del Pm.

Pertanto sotto il profilo della affermazione della penale responsabilità del (OMISSIS) in ordine al reato a lui contestato sub A) della rubrica la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo, affinché questa, applicando i principi dianzi espressi, riesamini compiutamente il tema della attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa in ordine alla imputazione de qua.

Va viceversa rigettata l’impugnazione in ordine alle contestazioni concernenti le restanti imputazioni.

Queste, infatti, diversamente dalla precedente, hanno trovato un adeguato riscontro costituito, per ciò che attiene alle lesioni personali inferte alla moglie dell’imputato, (OMISSIS), dallo stesso referto medico redatto il 16 marzo 2011 le cui risultanze, attestanti il fatto che alla donna siano state cagionate le lesioni personali di cui al capo di imputazione, sono coerenti con il resoconto che dell’episodio è stato dato dalla stessa (OMISSIS) cui, pertanto, non vi è motivo alcuno per non dare credito, anche nella parte in cui ne attribuisce la paternità al di lei marito.

Parimenti per ciò che attiene ai maltrattamenti in famiglia, consistiti nelle ripetute vessazioni, rappresentate sia da ingiurie che, per ciò che attiene specificamente alla moglie, da percosse, che il (OMISSIS) ha imposto ai propri familiari conviventi e che sono alla base dell’atteggiamento di rancore dimostrato dalla figlia (OMISSIS) nei confronti del padre.

Ne’ pare avere una qualche significatività la censura relativa alla pretesa carenza dell’elemento psicologico del reato in questione in capo al prevenuto, posto che la pur indubbia esistenza di una situazione di conflittualità fra i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) non avrebbe certamente legittimato le condotte contestate, essendo semmai queste, verosimilmente, la causa della conflittualità e non la conflittualità a generare i maltrattamenti.

La doglianza riferita alla quantificazione del trattamento sanzionatorio risulta, invece, assorbito, dall’accoglimento dei motivi di impugnazione afferenti alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui al capo A), posto che la determinazione della pena da irrogarsi in concreto, come d’altra parte già precedentemente accennato, non puòprescindere dall’avvenuto accertamento sulla sussistenza e sulla effettiva portata dei fatti di violenza sessuale contestati all’imputato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di cui al capo A), con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.

Rigetta il ricorso nel resto.

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