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I minori e la televisione

di Sara Pezzuolo

“Una democrazia non può esistere, se non si mette sotto controllo la televisione; essa è divenuta un potere politico colossale, potenzialmente, si potrebbe dire il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla” (Popper). 

Stando ad una stima dell’A.P.A. (American Psychological Association), i bambini americani stanno davanti alla televisione in media 27 ore alla settimana con punte di 11 ore al giorno nei quartieri degradati. Data la programmazione televisiva è stato così stimato che, ogni bambino, può assistere ad una media di 8.000 omicidi e 100.000 atti di violenza prima di aver terminato le scuole elementari. E qui in Italia? Stando ai dati provenienti dalla ricerca Istat, i minori italiani guardano la televisione soprattutto nella fascia oraria che va dalle 20.30 alle 22.30 con una media oraria giornaliera di tempo trascorso davanti alla televisione che supera quella degli adulti: è quindi conseguenza logica che i minori guardano la televisione senza la presenza dei genitori. La fascia di età in cui si registra una percentuale maggiore di minori che seguono la TV (99,1%) è quella degli 11-13 anni (Fonte Istat 2006). Stando ad ulteriori stime si può “tranquillamente” affermare che la televisione è violenta: circa la metà delle ore di programmazione offrono scene di violenza anche nella fascia orario che, come precedentemente detto, è quella maggiormente seguita dai minori. Numerosi studi, in ambito internazionale, hanno provato a documentare gli effetti delle rappresentazioni violente sui minori tuttavia i differenti ricercatori non sono però giunti a conclusioni unanimi. Alcuni di essi concludono che gli effetti della violenza sul comportamento dei minori hanno effetti concreti solo se è presente una predisposizione del medesimo alla violenza, altri, di contro, affermano che, dati i processi imitativi e di rinforzo, esiste una stretta correlazione tra media e messa in atto di comportamenti aggressivi. Tale ipotesi è supportata dall’irrigidimento cognitivo che determina, nello spettatore, la fissazione della sequenza violenta. Nonostante le spiegazioni differenti, comunque, i risultati disponibili rilevano una certa influenza sul comportamento dei minori dell’esposizione ad una comunicazione televisiva violenta. Anche se non è plausibile pensare allo spettatore totalmente come soggetto passivo a quanto gli viene mostrato, l’assenza dei genitori, documentata in precedenza, rischia di non permettere il processo di codifica e analisi dei messaggi e che venga esonerato il processo di una lettura critica del fenomeno. Facendo riferimento ad una ricerca proveniente dall’USA, effettuata mediante la tecnica della risonanza magnetica funzionale encefalica, si è potuto concludere che le scene di attivazione del cervello alla vista di una scena di violenza sono le medesime di quelle che si attivano di fronte ad un evento reale di minaccia che viene registrato nella memoria a lungo termine e, prontamente, richiamato. In sintesi, scene di spettacoli televisivi e scene violente della realtà non dimostrano di avere differenze a livello di tracce cerebrali. La Direttiva “Tutela dei Minori, del Consiglio delle Comunità Europee” già nel 1989 prevedeva: “per ciò che si riferisce alle emittenti televisive, soggette alla loro giurisdizione, gli stati membri, adottano le misure atte a garantire che le oro trasmissioni, non contengono programmi in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale, e morale dei minorenni, in particolare programmi, che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita”. 

Analizzati i nostri palinsesti fatti di reality, fiction, telefilm come possiamo esonerare i nostri figli da avere determinati modelli di riferimento, dall’essere bulli etc.? 

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